Per migliaia di anni l’uomo ha sofferto di sciatica ed ha studiato i metodi più strampalati di cura, tra cui i revulsivi cutanei (tempo fa un dermatologo mi inviò un paziente in cui un praticante aveva ustionato i lombi con la senape) e la flebotomia sopramalleolare esterna (ideata da Ippocrate, praticata da Galeno e ancora praticata da qualche monaco).
Fu solo nel XVIII secolo che si cominciò a capire qualcosa sulla sciatica. Fu Cotugno a stabilire che era in causa il “nervo dell’Ischio”. Horsley riconobbe tra le cause del dolore “ischiatico” la compressione radicolare da parte di ernie discali, Krause operò nel 1908 la prima ernia discale, Kraienbuhl ideò nel 1936 la emilaminectomia, Caspar (1975) la microdiscectomia.
In conclusione è da poco che si cura razionalmente la sciatica da ernia discale e, come quasi sempre avviene in Medicina, la Chirurgia è stata il primo metodo di cura, perché è di concezione più immediata nella mente del Medico.
Poi l’ulteriore ricerca e l’affinarsi del pensiero porterà a metodi sempre meno cruenti e più efficaci.
Ciò è un po’ quello che è già avvenuto per l’ulcera gastroduodenale (e che speriamo avvenga per i tumori). La Chirurgia infatti aggiunge al danno della malattia il danno inevitabile della manipolazione dell’operatore (anche se sia molto bravo!) risultando ulteriormente demolitiva e portando dalla rottura del disco con erniazione del nucleo polposo all’abolizione completa dello stesso dal lato dell’intervento con gravi conseguenze che insorgeranno subito od anche dopo mesi ed anni e che faranno del paziente un MALATO CRONICO.
Tutti gli interventi chirurgici hanno delle conseguenze che troppo spesso non vengono citate, né scritte nel consenso informato, per cui il paziente ignaro si sottopone all’intervento con più fiducia di quello che dovrebbe.
Tali conseguenze sono tanto più gravi, quanto più è demolitivo e complesso l’intervento. Per questo, anche il chirurgo coscienzioso, cerca il minor trauma, la minor invasività, il minor danno al corpo umano, che, ricordiamo, è una macchina perfetta che tende da sola alla guarigione.
Citiamo le più gravi:
- Troppo poco spesso sono citate le complicanze tromboemboliche di un intervento chirurgico che una profilassi anticoagulante può diminuire, ma non eliminare: c’è sempre il rischio di morte, anche 20 giorni dopo l’intervento.
- Dopo l’intervento residua quasi sempre una fibrosi cicatriziale che, se ipertrofica o non “regolare”, può comprimere ed irritare il nervo interessato per tutta la vita! Il paziente subisce per sempre quello che voleva eliminare per sempre, con conseguenze catastrofiche per l’arto interessato.
Conseguenze dell’intervento tradizionale (con emilaminectomia e discectomia)
- Alterazione del concetto biomeccanico per il quale la colonna umana è stata costruita
- La colonna si indebolisce e si crea instabilità e quindi dolore.
- I chirurghi americani hanno quasi completamente abbandonato questo intervento, per l’elevato rischio di denunce per “malpratica” e per gli studi statistici, che dimostrano che, dopo quattro anni, essere o non essere stati operati è la stessa cosa !!
- Mancando un disco, il disco soprastante e quello sottostante lavoreranno di più (i dischi sono gli “ammortizzatori” del corpo umano) col rischio di rompersi anch’essi e dare erniazioni (non sono pochi i pazienti con ernie multiple) e ciò specialmente nei soggetti che fanno attività fisica pesante o che sono obesi.
- L’attrito da contatto delle limitanti somatiche prospicienti il disco operato con formazione di osteofiti causa di lombalgie ribelli.
Probabilmente queste conseguenze possono spingere ad altri interventi chirurgici e così si instaura un circolo vizioso negativo di cui il paziente prima o poi si stancherà preferendo tenersi il dolore.